pubblicato gennaio 2005 su D, La Repubblica delle Donne
by Serena Tinari
Cedesi bunker: vista panoramica, prezzo modico. L’esercito svizzero, che attraversa una stagione di tagli e riforme, ha deciso di vendere diecimila bunker dismessi – sugli oltre trentamila presenti sul territorio nazionale. L’esercito li chiama “monumenti militari” e almeno un centinaio meritano l’epiteto. Erano avamposti di vedetta, rifugi in caso di attacco e magazzini di armi – mascherati da falsi chalet e finte pareti rocciose. Rifiniti in ogni dettaglio, con un gusto del particolare dal sapore decisamente elvetico, fanno il verso allo stile architettonico del paesaggio che li ospita. Un bizzarro patrimonio culturale e una parodia quasi impeccabile, mentre brillano per contrasto i bunker che scoprirebbe un bambino, figurarsi un generale: la baita circondata da fitti alberi in una vallata brulla. O un cannone che sbuca da un presunto fienile ticinese.
Sotto la vernice, tonnellate di acciaio e cemento armato: distruggerne uno costerebbe 125mila euro. La manutenzione? Due milioni di euro ogni anno. Dunque sono in vendita, a prezzi stracciati: duemila euro per uno piccolo, altri denari e un po’ di pazienza sono da prevedere per la burocrazia – e anche gli stranieri ne possono comprare. Sono privi di permessi di edilizia abitativa e di finestre. Eppure duecento sono stati già ceduti ad amanti del genere. Come i coniugi Moser di Thun, nel canton Berna, che hanno comprato per 12mila euro un falso chalet e l’hanno trasformato in cantina. O come la famiglia Kamber, che ne ha fatto una stanza giochi per la prole.
Ci dovevamo difendere
La bunkerizzazione della Svizzera inizia alla vigilia della seconda guerra mondiale. È l’altra faccia della rinomata neutralità elvetica: la difesa a oltranza del territorio nazionale. L’esercito concede le informazioni, con una premessa: “La aiutiamo volentieri. Purché non chieda troppo”. Thomas Ingold, capo della divisione “forze di intervento territoriali” spiega una mappa geografica sul tavolo e col dito indica le direttrici del sistema di fortificazione elvetico. Elenca i potenziali invasori da cui la Confederazione ha pensato di doversi difendere: “Austria, Italia, Francia, Russia, Germania.. In caso di attacco ci saremmo chiusi all’interno e nelle profondità delle Alpi“. 31.000 costruzioni per un territorio grande quanto la Lombardia*. Ma la Svizzera è una fetta di groviera al centro dell’Europa? Ingold sorride, si arrotola il baffo con l’indice e sentenzia: “Ci dovevamo difendere. Ma ora sono cambiate la mentalità e l’assetto politico del continente. Abbiamo problemi finanziari e possiamo conservare solo il minimo indispensabile”. Quanti bunker sono ancora in funzione? Ingold sorride: “Un segreto militare non può essere raccontato. Sennò, che segreto è?”.
Facciamo saltare tutto e ci chiudiamo dentro
Neanche la caduta del muro di Berlino ha cambiato l’attitudine elvetica al bunker quotidiano. Tuttora, confermano allo Stato Maggiore, alcuni ponti e viadotti autostradali sono minati: in caso di bisogno, in poche ore si possono fare saltare in aria – bloccando così le principali vie di accesso al paese. L’Italia l’ha scoperto nel 2001, grazie al rovinoso incendio scoppiato nel tunnel del Gottardo. Il Corriere della sera pubblicò per primo la notizia: il massiccio era farcito di cariche esplosive. L’esercito svizzero convocò una conferenza stampa per ammettere che sì, in effetti lo era. Ma nessun pericolo: le misure di sicurezza erano a prova di bomba, figuriamoci di incendio. A scanso di equivoci, si disse, le cariche sarebbero state rimosse. Ma ancora oggi gole profonde assicurano che il Gottardo è minato: “Hanno sostituito il tritolo con materiali di nuova generazione, considerati più sicuri”, giura una giornalista svizzera che desidera mantenere l’anonimato, perché “sono fatti risaputi. Ma impossibili da verificare”.
La legge marziale..
Ci mette volentieri nome e cognome, invece, Urs Paul Engeler, cronista del settimanale Die Weltwoche. L’anno scorso è stato condannato da un tribunale militare a pagare una multa di 250 euro per “negligenza professionale”: aveva rivelato in un articolo l’esistenza di un bunker per il governo cantonale bernese. Engeler si è ritrovato protagonista di una storia kafkiana: interrogato per cinque ore, dalla polizia e dai militari, sulla sua infanzia e sulla situazione finanziaria, sulla famiglia e persino sui suoi hobby. Cinquant’anni, “outsider e giornalista scomodo”, non lo stupisce di non avere ricevuto sostegno dai colleghi. Ma non si capacita di quanto: “sia grande in questo paese il potere dell’esercito. Vi sembra normale, che un privato cittadino sia multato per indisciplina da un tribunale militare?”. In seguito al caso Engeler, un’interpellanza parlamentare ha chiarito che su 26 cantoni, ben 18 possiedono bunker governativi militari. I particolari li racconta un libro di imminente uscita del giornalista Niklaus Ramseyer: in pochi decenni – alla faccia della democrazia diretta svizzera, che chiama la cittadinanza a votare su tutte le questioni possibili – sono stati destinati milioni di euro alla costruzione di strutture segrete destinate alla protezione della dirigenza politica del paese. All’insaputa del popolo e dei media.
.. e le leggende metropolitane
Anche il governo federale ha i suoi bunker. Uno sorge sotto la Bundeshaus, il palazzo bernese sede del Governo e del Parlamento: sette piani blindati e sotterranei in pieno centro storico. All’inizio degli anni novanta, la televisione tedesca ARD svelò la localizzazione di un secondo bunker, incastonato nel massiccio di Kandersteg: migliaia di metri quadri, tre uscite di sicurezza, spazio per i sette ministri e per alcune decine di parlamentari. Non si è mai capito cosa se ne farebbe, in caso di catastrofe, degli altri circa 200 deputati e nella Confederazione si sprecano le battute: saranno soppressi o si tirerà a sorte? Il bunker del Kandersteg è stato d’altronde la causa dell’unica seduta a porte chiuse che i giornalisti della sala stampa parlamentare riescano a ricordare. Imponenti i costi: 165 milioni di euro per costruirlo, 230mila l’anno per mantenerlo. All’ombra del segreto militare, fioriscono le leggende metropolitane. La più celebre narra di tunnel sotterranei che unirebbero le maggiori città svizzere. Più realistiche e decisamente comiche, le indiscrezioni che filtrano dalle esercitazioni cui i vari governi vengono sottoposti. L’esecutivo bernese rimase bloccato otto ore nel bunker, perché proprio davanti all’uscita si svolgeva una fiera di vacche. Mentre quello del canton Vaud nel 1997 decise di rinunciare al test: in piena crisi di governo, si temeva che a chiudere per 24 ore i ministri in un bunker, sarebbe scoppiata una rissa.
A forma di bunker
Un celebre proverbio elvetico recita: “La Svizzera non ha un esercito: la Svizzera è un esercito”. Di certo, per almeno un secolo ha pensato a forma di bunker – nel segreto più rigoroso. “Quando facevo il militare, nel 1988, ci mostravano queste strutture ma ci obbligavano a mantenere il più assoluto riserbo sulla loro esistenza“. Alessandro Stroligo, architetto milanese nato e cresciuto in Svizzera, ritiene che il bunker rappresenti a meraviglia una certa attitudine nazionale: “Un paese che si sente il centro del mondo, una vera e propria élite. È questa la logica che porta al bunker: il mondo può essere distrutto, ma gli svizzeri sopravviveranno”.
Anche Urs Paul Engeler ci vede un simbolo: “La Svizzera che fu. Ma oggi, i bunker sono una vera contraddizione e certo non sono compatibili con Schengen, né con la NATO”.
Il pallino della fortificazioni, ad ogni modo, ha dato vita ad una vera specializzazione nazionale. Furono ingegneri elvetici a progettare il bunker per lo staff di Saddam Hussein, nome in codice “359”: tunnel sotterranei per limousine e piccoli carrarmati, un ospedale e spazio per 534 persone.
Proteggere la popolazione
Anche la cittadinanza cresce a forma di bunker: ogni persona che risiede in Svizzera sa di avere un posto riservato in caso di emergenza. Gli edifici costruiti fino agli anni settanta ne hanno uno tutto loro: le famiglie da sempre ci tengono gli sci e le provviste. Per legge devono avere solai di 40 centimetri e muri di 30, porte spesse mezzo metro che ricordano quelle delle cassaforti e servizi igienici. Il bunker condominiale o unifamiliare deve essere autosufficiente per sei mesi: cibo, acqua e aria. Tuttora se costruisci una casa senza bunker devi pagare una tassa di circa 4000 euro, a seconda del numero di stanze, per utilizzare un bunker collettivo: palestre, scuole e sotterranei di ogni sorta. La Protezione civile assicura che ci sono: “270mila rifugi e 3500 impianti, che garantiscono un posto al 95 per cento della popolazione”. Ma proteggersi da cosa? Di sicuro, dal nucleare. La Svizzera ha quattro centrali atomiche e chi abita in un’area di venti chilometri dagli stabilimenti si vede recapitata a casa una confezione di ioduro di potassio – per proteggere la tiroide dalle radiazioni in caso di incidente nucleare. Da record, a Lucerna, il bunker del Sonnenberg: due tunnel autostradali lunghi un chilometro, che furono costruiti con enormi porte alle due estremità e avrebbero dovuto salvare ben ventimila persone. Nel 1987, però, fu un flop la prova generale: 1100 operatori riuscirono a preparare solo 2200 posti letto e ci vollero ventiquattro ore per fare uscire le macchine e chiudere, infine, le porte. Costata 25 milioni di euro, la struttura è stata smantellata e il progetto archiviato.
Dalle mine al gothic party
Le strutture dismesse spesso risorgono a nuova vita. Si chiama Fort.ch l’associazione che riunisce i 29 musei svizzeri delle fortificazioni. Il vicepresidente Jean-Charles Moret spiega: “Caso unico in Europa, i nostri musei contengono materiali e armamenti d’epoca. In pratica, subentriamo all’esercito per la conservazione”. I cunicoli abbandonati del Gottardo sono diventati La Claustra, 4000 metri quadri di hotel a quattro stelle con wellness e laboratori, voluto dall’artista Jean Odermatt. L’estate scorsa ha ospitato un party per appassionati di musica gotica durato due giorni, il Goth-hard. Presso Amsteg un ex bunker governativo è stato acquistato dalla Swiss Data Safe, che vi ha costruito un’enorme cassaforte, sepolta nel ventre del massiccio alpino, per banche dati elettroniche, documenti e opere d’arte. Dicono di avere clienti da tutto il pianeta e senza ombra di modestia amano definirsi “il luogo più sicuro del mondo”.